Non si esce indenni dal punk filosovietico: è un segno distintivo che ti segue in impronta, come seconda pelle (artistica). Prima cantava: “consumami distruggimi è un po’ che non mi annoio/ aspetto un'emozione sempre più indefinibile/ teatri vuoti e inutili potrebbero affollarsi se tu ti proponessi di recitare te (…) il roipnol fa un casino se mescolato all'alcool/ bombardieri su Beirut” (Emilia Paranoica). Adesso: “Parole che dette travolgono i tramonti/ il battere del polso sul mercurio/ Rumori, calori, sudori, timori, tremori/ Si complica l'elenco degli errori/ Si complica l'elenco degli errori/ Si complica l'elenco degli errori e dei legami intelligenti/ intransigenti” (Miccia prende fuoco). Chiaro l’influsso salmodiante-precettistico CCCP? Alla fine padronissimi di chiamarle libere associazioni, voli pindarici, versi sciolti, cripto-poesia: hanno tutte a che fare col marchio di fabbrica di Massimo Zamboni, articolata militanza punk/rock via Fedeli alla linea e CSI (complice Lindo Ferretti), quindi inversione di rotta tematica e percorso in solitaria in tre cd: dal 2004 al 2010, nell’ordine Sorella sconfitta, L'inerme è l'imbattibile, L'estinzione di un colloquio amoroso. Questo Canto l’isolamento(Aratro Incisioni, 2013) riepiloga il discorso senza strafare. Il minimo indispensabile, giusto per rendere l’idea, con il supporto-placet di un drappello di contributi esterni, per vedere l’effetto che fa (Nada, Lalli, Fiamma, Marina Parente, Nabil Salameh). Poi certo non si può dire che le tracce asettiche, asciugate fino alla scarnificazione di Zamboni ti sorprendano alle spalle (se le conosci NON le eviti): solita parentela stretta col sound sotto vuoto spinto (leggi sintetico), ermetismo vetero-sapienziale, pensieri e musiche in rima sciolta (Schiava dell’aria), però che ti si impigliano addosso come ragnatele (ti irretiscono, in senso letterale): niente di memorabile, ma il fascino c’è, e qua e là finisci pure col canticchiarci appresso (Casco in volo). Il filo rosso tematico lo recuperi in zona ontologica, attraverso stazioni di dolore e pratiche di rivolta, alienazioni e (r)esistenza, individuale e collettiva (Sorella sconfitta, Cranja, Rivolta cranica, Dolorama). Un occhio al bignamino di saggezza orientale - gli opposti estremismi finiscono col coincidere, così che anche la disfatta può contenere, in nuce, i germi del riscatto e della forza -, uno alla denuncia post-ideologica (e il peggio è che la politica non c’entra!). La copertina di Beatrice Pasquali è, in tal senso, cartina di tornasole del grado zero immanente alla scaletta: forme post-umane sbozzate in cera, vetero-manichini incongrui, inermi, eppure inesausti nella loro volontà di potenza, nel tentativo di esistere, di ri-nascere, malgrado tutto. Per dirla - ancora - con parole sue (di Zamboni): “Ho cantato l'isolamento, come semente di uguaglianza, per comprenderlo fino in fondo; per uscirne”. Amen. Il disco è quasi un concept e non andrebbe sminuzzato traccia per traccia, assunto piuttosto come flusso di coscienza ininterrotto. Mi limito a un’unica menzione individuale: quella per l’ipnotica bravura di Nada, che graffia, incide, irride, assegna valore aggiunto a Miccia prende fuoco. Recensioni di "Mario Bonanno" (www.mescalina.it).
RATING: 7.5 / 10
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RATING: 7.5 / 10
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