segunda-feira, 26 de novembro de 2012

*. Moogg .*

Album: Le ore, i giorni gli anni (2011)
Genre: Prog Rock (Jazz Fusion/Canterbury Scene)  /  Italy

Sono passati non so quante ore, giorni, e circa 5 anni dal primo demo di questa band bresciana che tanto ci aveva incuriosito. Troppo forse, ma in fondo è meglio così, proprio perché il tempo ha permesso di amalgamare meglio le idee e anche di affinare il materiale sonoro che il gruppo già da tempo aveva a disposizione. Ascoltando infatti le nuove versioni dei brani già proposti nel vecchio demo ci si rende conto di quanto la band sia cresciuta, soprattutto a livello di sound e anche per quel che riguarda il cantato, piacevolmente scorrevole e modulato. Un passo cruciale nella storia del gruppo è dato dall’abbandono di uno dei membri fondatori, il bassista Rosario “Penny” Rampulla, che nel 2010 è stato brillantemente sostituito da un musicista ben noto ai nostri lettori e cioè Gianluca Avanzati che tutti noi ricordiamo nella line-up dei disciolti Notabene. Completano il quartetto il tastierista Toni Gafforini, il chitarrista Ivan Vanoglio e Marco Dolfini che canta e suona la batteria. Una formazione compatta quindi ma anche molto affiatata che arriva ad un debutto discografico molto equilibrato, ben disegnato e ben suonato. Bisogna dire che a dispetto del nome, che si ispira chiaramente al celebre sintetizzatore (ma con una G in più per non fare troppa confusione), questo album è dominato dai suoni vellutati e caldi del Rhodes, veramente onnipresente, con qualche ricamo aggiuntivo di Mellotron (che possiamo apprezzare nella lunga traccia conclusiva “Welfare botanico”) e Farfisa. Questo ovviamente non è un problema ma una semplice curiosità che può aiutare ad inquadrare meglio il sound della band che non ha niente di Yessiano o di Emersoniano, come erroneamente si potrebbe pensare adocchiando il monicker, ma si dimostra invece fortemente debitore verso la scena Canterbury. Ascoltando la title track che decolla gradualmente vengono in mente subito i Caravan di “If I Could Do it All Over Again…” ma, soprattutto la voce, imprime una calda e piacevole nota mediterranea (ottima in questo senso la scelta di usare l’italiano) che aggiunge un tocco decisamente personale ad una formula ben nota e collaudata. A parte Arti e Mestieri, più volte mi vengono in mente le Orme, proprio per lo stile ed il timbro vocale di Marco Dolfini: ascoltate per esempio a tal proposito la parte conclusiva di “Classe 21”. Altre volte gli impasti si fanno più sinfonici mentre in altri frangenti la musica acquista un volto quasi fusion o funky. I riferimenti sono molti più di quanto non sembri ad un primissimo impatto. Riguardo il brano appena citato, proprio l’apertura, ma è un effetto che dura in realtà pochissimo, sembra rubata ai Rush di “Moving Pictures”mentre il modo di suonare la chitarra mi fa invece pensare a Georg “Jojje” Wadenius. Anche altre tracce hanno a mio avviso un feeling jazz rock per certi aspetti di stampo “svedese”, ricordandomi band come Egba o Kornet, e penso in particolare a “Responsabilità”. Si tratta comunque di sensazioni molto variabili nell’arco dell’ascolto che è davvero scorrevole e che ispira paragoni a volte un po’ stravaganti come nella divertente “Moogugni” che a un certo punto ha un feeling decisamente anni Ottanta che ricorda persino la disco-dance. Ma non preoccupatevi per questa mia ultima affermazione, si tratta solo di diversi modi di giocare con la musica e con le influenze musicali che contribuiscono a rendere l’esperienza di ascolto più varia ed interessante. Quello che mi piace di questo disco è il fatto che non vuole mai spingersi sopra le righe evitando ogni dimostrazione di forza, dando sempre la confortevole sensazione di fluidità e scorrevolezza. Il sound ha poi un colore molto piacevole, non è mai aggressivo ma è vintage e vellutato, con piacevoli sentori di fine anni Settanta. La musica non è mai frammentata, mai capricciosa o aggressiva ma si sviluppa in continuo e progressivo crescendo, dimostrandosi decisamente avvolgente ed il cantato, usato in realtà con molta parsimonia, non la soffoca mai. Molto belle sono anche alcune parti soliste, sia di tastiere, come nella splendida e già citata traccia conclusiva, che di chitarra. Di spazio per crescere ce ne è ovviamente ancora tanto, e mi aspetto che questo avvenga, ma quello che per il momento abbiamo per le mani è un prodotto molto bello e realizzato con molta attenzione, sicuramente interessante per le nostre orecchie e che porta nel suo piccolo qualcosa di suo alla nostra scena italiana. Se vorrete provarlo, non ve ne pentirete, parola mia. 
Recensioni di "Jessica Attene" (www.arlequins.it).

RATING:  8.25 / 10   **GREAT**

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